Cardinali e riforme

Posted by : | On : 22-02-2014 | Comments (0)
Siamo arrivati al primo Concistoro di Papa Francesco. Qualcuno di voi ricorderà il cardinal O’Brien, Arcivescovo di Edimburgo e Primate di Scozia. Decise (bontà sua!) di non partecipare al conclave che portò all’elezione di Papa Francesco perché travolto dalle accuse di quattro uomini (tre dei quali sacerdoti) verso i quali il caro arcivescovo (la minuscola è voluta) aveva avuto attenzioni decisamente poco riconducibili a quelle di un padre. I quattro avevano deciso di uscire allo scoperto dopo le dichiarazioni infuocate del cardinale sui diritti degli omosessuali che la Scozia voleva riconoscere per legge. Ovviamente il nostro baldo pastore d’anime difendeva strenuamente la posizione della Chiesa e si diceva totalmente contrario a questo scempio giuridico. Ma la dichiarazione più tragicomica, quella che sarà ricordata del suo episcopato edimburghese, la fece nell’annunciare che non avrebbe preso parte al conclave: “Ci sono stati momenti in cui la mia condotta sessuale è caduta al di sotto degli standard a me richiesti, in quanto prete, arcivescovo e cardinale”. Trattenendo a stento le risate per l’involontaria comicità della dichiarazione (ovviamente scritta in un comunicato stampa. Sembra che la Chiesa non si stanchi mai di produrre comunicati stampa, spesso demenziali), mi sono chiesto se ad ognuna di queste tre categorie fossero richiesti standard diversi, se alcune cose potevano essere lecite per un prete, ma non per un arcivescovo e soprattutto quale...

Ho letto… ma mi sarebbe piaciuto leggere…

Posted by : | On : 15-02-2014 | Comments (0)
Ho letto e riletto con molta attenzione il commento di mons. Angelo Riva, Vicario episcopale per la cultura, alla notizia della dimissione dallo stato clericale comminata dal Papa a Marco Mangiacasale. Ho letto quanto scritto e ho apprezzato molto l’invito alla misericordia verso il peccatore e la certezza che “tutti coloro che in vario modo hanno patito scandalo e ferita da questa dolorosa vicenda – a  cominciare dalle vittime e dalle loro famiglie, così duramente colpite nei loro affetti più intimi – possono riprendere, faticosamente, ma con speranza, il cammino che ci porta ad essere più umani”. Ho letto la solenne affermazione “la Chiesa di Como sa di volergli (a Marco Mangiacasale ndr) bene, e di dovergli porgere, dopo l’aceto aspro della giustizia, il balsamo della misericordia”. Ma mi sarebbe piaciuto leggere anche che la Chiesa di Como sa di voler bene alle ragazze abusate da Marco Mangiacasale, le guarda con la tenerezza e il dolore di una mamma colpita nei suoi affetti più cari, nei suoi tesori più preziosi, si preoccupa con sollecitudine di loro, si china con trepidazione sulle loro ferite, fa suo il loro dolore. Mi sarebbe piaciuto leggere che la Chiesa di Como sa di voler bene alle famiglie di queste ragazze, famiglie che non sono entità astratte, ma sono persone, mamme, papà, fratelli e sorelle, nonni; persone che hanno sofferto e che continuano a soffrire, anche fisicamente, che si portano dentro un dolore non capito, sottovalutato,...

Amore percepito/2

Posted by : | On : 08-02-2014 | Comments (0)
Sulla base di quanto scritto la scorsa settimana qualcuno potrebbe obiettare: “se io fingo di voler bene, se ho atteggiamenti esterni che non corrispondono ai miei sentimenti allora sono un falso, un ipocrita, un imbroglione, un fariseo”. Uh, che parole grosse! Ecco una tentazione perfida e subdola, che ci allontana da quanto il Signore ci chiede: la tentazione della “verità”. E non parlo della Verità con la maiuscola (in nome della quale, comunque, gli uomini si sono macchiati delle peggiori nefandezze), ma di quella verità con la minuscola, che potremmo definire come la piena corrispondenza tra quello che è il nostro essere interiore e il nostro agire. Per molti “essere veri” significa semplicemente fare sempre e solo quello che viene d’istinto, incuranti dell’impatto che questo può avere sugli altri. “Devo essere accettato per quello che sono” è un’espressione di comodo inaccettabile per un cristiano. Può essere un valido inizio per una psicoterapia, ma se ci si ferma lì siamo al culto di sé, al narcisismo più sfrenato, quello che condanna irrimediabilmente alla solitudine più nera. Il narcisista non è capace di controllare sé stesso, di valutare se e quando è il caso di dire o di fare una cosa, vive della propria voglia momentanea e fa un sacco di danni agli altri. Fa soffrire senza nemmeno rendersene più conto, l’unica cosa importante è soddisfare il proprio bisogno di essere al centro dell’universo (che poi può essere ridotto anche...

Amore percepito/1

Posted by : | On : 01-02-2014 | Comments (0)
Da qualche anno si sente parlare, d’estate, di “caldo percepito”. Da quel che ho capito si tratta della temperatura esterna avvertita da noi (dall’organismo? Dalla psiche? Da entrambi?), più alta di quella reale. Siccome la stessa categoria è stata applicata qualche settimana fa, in occasione delle bufere gelide che hanno sconvolto gli Stati Uniti, anche al freddo, ho provato a mettere la parola “percepito” accanto ad altre, per vedere l’effetto che fa. Ho iniziato con “amore percepito”. Sono partito da un dato che potrebbe apparire contraddittorio: nel Vangelo Gesù  ci dà il “comandamento” dell’amore. Si può amare per comando? L’amore non è forse un sentimento? e quindi o c’è nel cuore o non esiste! Come posso obbligarmi ad avere un sentimento? Se non provo amore per questa persona (anzi, magari provo proprio avversione) che cosa devo fare? E qui entra in gioco il concetto di “amore percepito”. Penso a quanti hanno come elemento  fondamentale della propria professione quello di accogliere, di far sentire gli altri rispettati, coccolati, importanti: negozianti, impiegati a contatto con il “pubblico”, camerieri. E poi, ancora, tutti coloro che operano nelle strutture sanitarie: quanto fa bene al paziente il sorriso di un medico, il gesto di attenzione delicata di un infermiere, la consapevolezza di non essere trattati come numeri. E che dire di quanti operano nel settore educativo? Gli insegnanti, i preti, i genitori stessi… Capita,...

Pazienza

Posted by : | On : 25-01-2014 | Comments (0)
Qualche anno fa è uscito un libro di don Bruno Maggioni dal titolo “La pazienza del contadino”, titolo che sintetizzava un aspetto presente in diverse parabole narrate da Gesù. Essere pazienti, aspettare con fiducia i frutti. Un po’ come il  padrone di quel fico che non ne voleva sapere di produrre fichi. Il fattore vorrebbe tagliarlo, ma il padrone lo invita a pazientare, a mettergli ancora un po’ di concime, a lasciarlo lì ancora un po’ di tempo… E’ lo stile di Dio con noi: da quanto tempo è paziente nei nostri riguardi e ci offre un’occasione dopo l’altra per cambiare? Dovrebbe essere anche il nostro stile nei confronti di noi stessi e degli altri. Anche solo per interesse. Spesso, infatti, l’impazienza provoca delusioni cocenti. Il voler vedere subito i frutti, la realizzazione immediata di un progetto, l’esecuzione subitanea di un ordine, l’esaudimento di un desiderio in tempi brevissimi: alla fine tutto questo rischia di rovinarci la vita. E qualche volta pretendiamo che anche Dio si sbrighi nell’accontentarci! Forse abbiamo perso la capacità di essere costanti per lungo tempo, tenaci, con quella caparbietà che riesce a far dosare gli sforzi, così da percorrere lunghissime distanze. Siamo più portati a correre i cento metri piuttosto che la maratona. Chissà, forse abbiamo la percezione inconscia della brevità di questa nostra vita terrena, sentiamo che il tempo ci sfugge tra le dita, siamo consapevoli di avvicinarci, nostro malgrado,...

Umiltà

Posted by : | On : 18-01-2014 | Comments (0)
“Humus”, “homo”, “humilitas”: la sequenza di queste tre parole latine ci fa capire che la virtù più tipica dell’uomo dovrebbe essere l’umiltà, perché è la più conforme al suo essere fatto di terra.  Spesso confondiamo questa virtù con la disistima di sé ( reale o presunta), tipica di chi non riconosce le proprie  capacità e potenzialità e sembra trovare soddisfazione solo nel disprezzo di sé stesso. E tuttavia quando questa disistima è falsa possiamo parlare di “umiltà pelosa” (così la definiva il nostro Padre spirituale in Seminario), cioè superbia travestita. Infatti come l’adolescente (e se ne incontrano di ogni età!) ha bisogno assoluto di essere al centro dell’attenzione e per questo può urlare, strepitare, esagerare (dietro a tanti coma etilici c’è proprio questo) oppure piagnucola, sta in disparte, si isola, fa la vittima così il superbo afferma senza pudore la propria (presunta) superiorità (ha sempre ragione, gli altri sono tutti incapaci, lui ha la soluzione per tutto, dal campionato di curling alla politica statunitense) oppure si pone sotto tutti gli altri così da attirarsi i complimenti e le lodi (che segretamente pensa già di meritare) per la modestia e l’umiltà. C’è poi chi, sfiorando la patologia ( e, qualche volta, finendoci) ha reale disistima di sé, al punto da negare  l’evidente presenza di caratteristiche positive nella sua persona, davvero convinto di non averne neppure una. Essere umili, dunque,...