Ho letto… ma mi sarebbe piaciuto leggere…

Di : | Il : 15-02-2014

Ho letto e riletto con molta attenzione il commento di mons. Angelo Riva, Vicario episcopale per la cultura, alla notizia della dimissione dallo stato clericale comminata dal Papa a Marco Mangiacasale.

Ho letto quanto scritto e ho apprezzato molto l’invito alla misericordia verso il peccatore e la certezza che “tutti coloro che in vario modo hanno patito scandalo e ferita da questa dolorosa vicenda – a  cominciare dalle vittime e dalle loro famiglie, così duramente colpite nei loro affetti più intimi – possono riprendere, faticosamente, ma con speranza, il cammino che ci porta ad essere più umani”.

Ho letto la solenne affermazione “la Chiesa di Como sa di volergli (a Marco Mangiacasale ndr) bene, e di dovergli porgere, dopo l’aceto aspro della giustizia, il balsamo della misericordia”.

Ma mi sarebbe piaciuto leggere anche che la Chiesa di Como sa di voler bene alle ragazze abusate da Marco Mangiacasale, le guarda con la tenerezza e il dolore di una mamma colpita nei suoi affetti più cari, nei suoi tesori più preziosi, si preoccupa con sollecitudine di loro, si china con trepidazione sulle loro ferite, fa suo il loro dolore.

Mi sarebbe piaciuto leggere che la Chiesa di Como sa di voler bene alle famiglie di queste ragazze, famiglie che non sono entità astratte, ma sono persone, mamme, papà, fratelli e sorelle, nonni; persone che hanno sofferto e che continuano a soffrire, anche fisicamente, che si portano dentro un dolore non capito, sottovalutato, a volte (e mi duole dirlo) sbeffeggiato e ridicolizzato. Comunque sempre sminuito. Famiglie che hanno avuto la “colpa” di aver creduto nel prete, nell’amico a cui affidare le proprie figlie, a cui aprire le porte della propria casa e del proprio cuore.

Avrei voluto leggere che la Chiesa di Como sa di voler bene alla Parrocchia di San Giuliano, che non è un’entità astratta, ma sono persone, bambini, giovani, adulti, anziani, che hanno sofferto e che soffrono tanto, che combattono per mantenere salda la propria fede, così duramente messa alla prova, che non hanno mai avuto il conforto di una parola, di una vicinanza concreta; una Parrocchia che, dalle parole di certi monsignori, è stata e viene ancora scossa e scandalizzata, perché, grazie a Dio, è una Parrocchia che rimane capace di scandalizzarsi e sa chiamare il male con il suo nome, senza strani giri di parole e frasi sibilline, dando alle persone il peso e la statura morale che hanno, al di là  del ruolo ecclesiale che ricoprono.

Avrei voluto leggere… ma non ho potuto, perché tutto questo non c’era, nel commento di mons. Riva apparso sul sito ufficiale della Diocesi di Como. Il pensiero (cattivo, lo ammetto) che mi è venuto è che tutto questo non c’è nel commento perché non c’è nel cuore.

Mi permetto, alla fine, qualche considerazione. Innanzitutto sull’identità della ”Chiesa di Como”. Non so a quale parte della Chiesa di Como si riferisca mons. Riva, forse a quella che frequenta lui, quella dei passi felpati nei sacri palazzi, passi prudenti per non disturbare il potente di turno; forse a quella di coloro (preti, religiosi/e, laici) che pensano che bisogna coprire, nascondere, tacere, che ritengono che lo scandalo non sono gli abusi sessuali di un sacerdote su cinque ragazzine ma l’averli portati alla luce, quella di quegli appartenenti al clero (e mi vergogno per loro) che sostengono che “in fondo, che cosa ha fatto? Ha dato una “paspatina” a qualche ragazza” oppure che ”l’hanno condannato per due messaggini”; forse a quella dei deliranti messaggi di sostegno al reo ormai confesso sul suo profilo Facebook (a proposito: don Ferdinando Di Noto, fondatore di METER, ha informato i genitori delle ragazze abusate che il suddetto profilo è ancora presente e contiene molte foto di ragazzi/e di San Giuliano. E’ mai possibile?); forse a quella dei comunicati stampa pieni di belle parole che nascondono l’assenza di gesti e, forse, persino di sentimenti.

Assicuro a mons. Riva che c’è anche un’altra Chiesa di Como. Non sta nelle alte sfere, prega e soffre per Marco Mangiacasale, sa benissimo che un prete (come chiunque altro) fa del bene e fa del male, ma sa chiamare le cose con il suo nome. C’è una Chiesa di Como che si mette in riverente ascolto del Papa, che non lo giudica uno sprovveduto e che comincia a pensare che se ha preso un provvedimento così drastico, in un tempo così breve, con una certa procedura pur avendone a disposizione altre, qualche motivo deve averlo avuto e non sta solo nella gravità dei reati commessi. Questa Chiesa di Como è fatta di persone normali, di mamme, papà e nonni che hanno a cuore i loro figli, i loro nipoti, i loro preti e le loro Parrocchie, persone che hanno un sentire antico e sapiente, che rifugge inorridito davanti alle arzigogolate acrobazie dialettiche dei teologi moralisti ed è ben capace di distinguere il bene dal male, senza bisogno di dotte lezioni, persone che hanno a cuore la Chiesa! C’è una Chiesa di Como che non fa comunicati stampa, ma sa essere vicina e solidale concretamente, con un sorriso, un abbraccio, una telefonata e che riesce ad essere piena di amorevole tenerezza non solo verso i peccatori, ma anche verso le loro vittime. C’è una Chiesa di Como che non ha paura della verità: è fatta di preti e di suore e di frati e di laici, di uomini e di donne che la vorrebbero vedere, questa Chiesa, bella e con qualche ruga in meno. Anche questa, caro mons. Riva, è Chiesa di Como.

Aggiungo, da povero prete “badilante”, un consiglio. Quando la propria presenza crea disagio e imbarazzo la persona intelligente si tira da parte. Le dimissioni le può dare anche un Vicario Episcopale, tanto più se occupa quel posto da oltre dieci anni.

Auguro a tutta la Chiesa di Como tempi migliori!

P.S. In questi due anni sono stato in silenzio, contando di fare le mie considerazioni solo dopo la sentenza della Cassazione. Adesso, però, tacere mi sarebbe sembrato vile, poco caritatevole e contrario al Vangelo. Quanto ho scritto lo dovevo alle cinque ragazze, alle loro famiglie, alla Comunità di San Giuliano, che il Signore mi ha affidato. Lo dovevo a tutti gli adolescenti e le adolescenti che si affacciano alla vita, con tutte le loro paure e le loro fragilità e hanno diritto di trovare adulti attenti, rispettosi, amorevoli e forti e non sfruttatori e manipolatori. Lo dovevo a tutti quei davvero bravi preti che sgobbano e sudano nelle nostre Parrocchie per annunciare con limpidezza e coerenza il Vangelo e si ritrovano infangati dalle nefandezze di pochi. Lo dovevo alla mia coscienza: un ulteriore silenzio sarebbe diventato complicità.

Lo dovevo, forse, a tutta la Chiesa di Como.

 

 

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