Recentemente ho letto un libro interessante, un libro che aiuta a pensare, anche se non se ne condivide le idee. Ed è comunque una grazia di Dio trovare qualcuno o qualcosa che aiuti a pensare. Il libro è “Questo papa piace troppo” e gli autori sono Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro (recentemente scomparso) e Giuliano Ferrara. I primi due sono stati “licenziati” qualche mese fa da Radio Maria proprio per aver osato proferire parole di critica al Pontefice dai microfoni dell’emittente ultracattolica. Il pagare di persona per le proprie opinioni è già, ai miei occhi, una nota di merito.
Comunque, nel libro, le osservazioni sono tutte molto circostanziate, anche se, sostanzialmente, ruotano attorno ad un concetto basilare: Papa Francesco sta distruggendo la sacralità della figura papale e sta scendendo a troppi compromessi con il mondo tanto che “paramento dopo paramento, concetto dopo concetto, preghiera dopo preghiera, prima per sola mano del mondo e poi con complicità cattolica, la persona del papa sarebbe stata spogliata di tutto, fino a lasciarle la sola logora veste da cappellano di ospedale da campo. Ma, così denudato, il vicario di Cristo, che anche a volerlo non può essere un altro san Francesco, diventa flebile persino nella voce. Per quanto meritori siano, i richiami che lancia contro lo spirito del mondo sono destinati a rimanere inoperanti: il discorso cristiano, privato degli ornamenti che gli sono propri, anche quando si fa invettiva, finisce...
“Non lasciamoci rubare la speranza”: con queste parole il Papa conclude il n.86 dell’Evangelii gaudium. Dobbiamo ammetterlo: qualche volta siamo tentati anche noi, in teoria portatori della gioia del Vangelo, dal pessimismo cinico e disincantato di chi vede sempre e solo il male (di solito negli altri, con noi stessi siamo piuttosto indulgenti). E qualche volta ci sembra di avere un compito che va ben oltre le forze umane, dovendo cambiare un mondo che di cambiare non ha per nulla voglia. E così ci scoraggiamo, tiriamo i remi in barca e lasciamo che siano gli altri, gli ingenui o gli illusi, a continuare a combattere per un mondo più giusto e più bello, più somigliante a come Dio l’ha pensato e continua a pensarlo. Ci dice il Papa al n. 84 dell’Evangelii gaudium: “I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. La nostra fede è sfidata a vedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata e a scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania”. Non si tratta, dunque, di chiudere gli occhi per non vedere il male: si tratta di aprirli a tal punto da scoprire il bene, che è certamente meno appariscente, ma permea ogni ambito...
19-27 giugno 2014
Nel 50° anniversario della adorazione quotidiana cittadina in Como, parrocchie e associazioni cattoliche della città organizzano una settimana di adorazione nella chiesa di Santa Cecilia.
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Ogni tanto mi chiedo che cosa venga percepito dalle persone quando sentono pronunciare la parola “oratorio”. Posto che, almeno nelle nostre zone, tutti coloro che non hanno una significativa cultura musicale associno la parola a quell’ambiente che, in una parrocchia, viene solitamente occupato da bambini e ragazzi per la catechesi e le attività ludico-sportive, mi verrebbe da chiedere quali altri contenuti si danno a questa parola: tanti anni fa il Vescovo Alessandro Maggiolini, in un Piano pastorale proprio sull’Oratorio, diceva che esso è soprattutto una “mentalità”. Quindi non anzitutto un luogo, bensì un modo di pensare. Che cosa significa avere questa mentalità? Credo che voglia dire, prima di tutto, avere una grande passione per Gesù. Solo se Gesù è davvero il centro della nostra vita possiamo dircene innamorati. E se ne siamo innamorati, allora diventa nostro precipuo interesse farlo conoscere, perché altri possano vivere la nostra stessa gioia. Chi è innamorato di Gesù non teme di proporlo a tutti, anche a quelli che apparentemente non sono interessati e non vogliono ascoltare, e si sforza di presentare una realtà ecclesiale che non sia sempre e comunque una “dogana”, ma che sappia suscitare gioia e partecipazione vera. Purtroppo in tante parrocchie si paga ancora lo scotto della mentalità che la Chiesa è per pochi eletti, per i più bravi (salvo poi avere cocenti delusioni quando i più bravi si dimostrano peggiori degli altri!), per quelli...
Nella terza parte del suo discorso ai vescovi italiani il Papa elenca un’altra serie di tentazioni e mette in guardia da comportamenti sbagliati, che possono incidere in modo significativo sulla vita della Chiesa e sulla sua testimonianza di fronte al mondo.
“Chiediamoci, fratelli: ho lo sguardo di Dio sulle persone e sugli eventi? Temo il Giudizio di Dio? Di conseguenza, mi spendo per spargere con ampiezza di cuore il seme del buon grano nel campo del mondo?”
Anche qui si affacciano tentazioni che ostacolano la crescita del Regno, il progetto di Dio sulla famiglia umana. Si esprimono sulla distinzione, che a volte accettiamo di fare, tra “i nostri” e “gli altri”; nelle chiusure di chi è convinto di averne abbastanza dei propri problemi, senza doversi curare dell’ingiustizia che è causa di quelli altrui; nell’attesa sterile di chi non esce dal proprio recinto e non attraversa la piazza, ma rimane a sedere ai piedi del campanile, lasciando che il mondo vada per la sua strada… Servire il Regno comporta di vivere decentrati rispetto a sé stessi, protesi all’incontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Verità e misericordia: non disgiungiamole. Mai!”. Parole stupende, che chiedono solo di essere messe in pratica, non solo dai vescovi, ma da tutti noi, discepoli di Gesù. Perché qualche volta abbiamo anche noi la tentazione di sederci ai piedi del campanile, aspettando...