Chissà quante volte abbiamo detto e abbiamo ascoltato questa espressione. In fondo il ripeterla è indice di una speranza dura a morire. Siamo tenaci, bisogna riconoscerlo. E anche se ogni anno questa prospettiva viene annullata dalle solite magagne (ma può cambiare l’essere profondo dell’uomo?), che nella loro ripetitività costituiscono l’ossatura fondamentale delle vicende del mondo e delle nostre personali, tuttavia siamo sempre speranzosi (illusi?) che qualcosa possa cambiare davvero. Mi viene in mente la speranza messianica, cioè quel movimento religioso, culturale, sociale che ha sostenuto e sostiene il cammino dell’Ebraismo e che per noi cristiani trova il suo compimento in Gesù: nell’Antico Testamento questa speranza viene riposta ogni volta nel nuovo re che sta per salire al trono, restando irrimediabilmente delusa. Si trasforma così nell’attesa di un personaggio sfumato, senza più connotazioni storiche precise, che verrà alla fine dei tempi ad instaurare il regno del Signore. Anche la nostra speranza in un mondo migliore rischia di fare la stessa fine: le tante, troppe delusioni, l’attesa spasmodica di qualcuno che possa far andare diversamente le cose, i vari “messia” molto terreni (siano essi capi di Nazioni o di partiti politici o persino Papi), che vediamo come risolutori definitivi dei problemi, ci lasciano dopo un po’ di tempo con l’amaro in bocca. E allora possiamo diventare cinicamente scettici, disillusi e pessimisti oppure possiamo...
A Natale si diventa più buoni. Da piccoli perché si aspettano i doni portati da Gesù Bambino e da grandi perché si avverte comunque un’atmosfera particolare, un qualcosa che spinge a riflettere, a pensare, a “com-patire”. Sarà forse che abbiamo nella mente il canto “Tu scendi dalle stelle”, con quelle descrizioni così realistiche ed emotive del freddo, della povertà, sarà che la condivisione dei doni è qualcosa che abbiamo profondamente radicato nel nostro essere e siamo contenti quando possiamo far contento qualcuno…In ogni caso Natale è sempre una festa particolare. Certo, quest’anno ci sono tanti motivi per preoccuparsi e per tanti il Natale non sarà lo stesso degli anni passati. Eppure anche queste persone sentono (specialmente quando in famiglia ci sono i bambini) il “dovere” di fingere, di far finta, almeno il giorno di Natale, che non ci siano problemi, che si può essere allegri lo stesso (esternamente, perché dentro il cuore sanguina al pensiero del futuro per quei bambini), dicendo magari che Gesù Bambino non è riuscito a portare proprio tutto quello che era stato richiesto, ma qualcosina comunque ha portato.
Che cosa possiamo chiedere, anche noi adulti, come regalo di Natale? Forse la capacità di commuoverci, forse la capacità di vedere il bene e di praticarlo e di vedere il male e fuggirlo con orrore, forse la capacità di vedere l’opera di Dio nella nostra vita e di sentirlo accanto a noi sempre, soprattutto nei momenti più bui....
Qualche tempo fa Putin ha fatto aspettare quasi un’ora il Papa che lo aspettava in Vaticano e il giorno dopo si è fatto attendere per ben due ore dal nostro Presidente del Consiglio a Trieste. Questo ritardatario famoso ha fatto fermare l’attenzione di tanti sul perché si arrivi in ritardo. Come mai ci sono persone che praticano sistematicamente questa pessima abitudine? A tutti può capitare un ritardo causato da un imprevisto o da un errato calcolo delle tempistiche, ma ci sono persone (ne ho conosciute e ne conosco diverse) per le quali il ritardo è un fatto sistematico e nemmeno si scusano! Senza essere uno psicologo o un sociologo, mi sono chiesto anch’io che cosa spinga compulsivamente una persona a ritardare in modo cronico. Forse la lentezza di movimento? Ma basterebbe iniziare prima a prepararsi; forse un po’ di vanità? Certo, se si arriva insieme agli altri c’è il rischio di non farsi notare, ma è proprio il caso di fare la figura del maleducato pur di farsi notare? Mi sembrerebbe già sintomo patologico. E’ vero che c’è chi, pur di farsi notare, fa di peggio, però… Io resto convinto che il ritardatario cronico sia una persona estremamente egocentrica, che non ha il minimo rispetto degli altri. Che, magari, hanno fatto anche sacrifici per arrivare in orario. Questa assoluta mancanza di rispetto per l’altro andrebbe trattata in sede di Confessione, perché è certamente un peccato. Potrebbe essere, quindi, un ottimo impegno di Avvento o di...
Con l’avvicinarsi del Natale vediamo rinfocolarsi una polemica ormai annosa sull’apertura domenicale dei negozi. Come per tutte le cose di vitale importanza i toni si fanno spesso accesi, tanto da assumere, in qualche caso, il sembiante di una vera e propria crociata. E chi di crociate se ne intende (pensate che papa Bonifacio VIII ne aveva organizzata una persino contro la famiglia Colonna, sua rivale, promettendo premi ultraterreni ai distruttori dei castelli dei suoi avversari), cioè noi cattolici, si fa prendere un po’ la mano proponendo il boicottaggio dei negozi che scelleratamente scelgono di tenere aperto la Domenica. Qualche tempo fa anche i Vescovi italiani si erano mossi dichiarando una incompatibilità tra l’apertura dei negozi e il concetto cristiano della Domenica come “giorno del Signore”. A me sembra che i toni debbano essere molto sfumati, perché la questione non è semplice. Innanzitutto viviamo in tempo di crisi acuta, molti negozianti stanno chiudendo i battenti e forse cercare di intercettare le persone quando sono presenti non è proprio così demoniaco. Forse il discorso “soldi” può valere poco o niente per un prete o un vescovo (anche se poi…), ma per chi deve mantenere una famiglia… E se poi abbiamo paura che la gente possa passare la domenica nei centri commerciali, allora chiediamoci che cosa offriamo noi in cambio se non sappiamo da anni affrontare la concorrenza del consumismo. Se il numero dei partecipanti alle Messe diminuisce...
In Italia la stampa riceve agevolazioni dallo Stato, come, del resto, in Francia, in Germania, in Spagna e in altri Paesi. Da noi, però, oltre a facilitazioni fiscali e postali ci sono anche contributi diretti che la Stato elargisce prendendoli, ovviamente, dalle tasse. Questo succede da decenni e attualmente l’erogazione di questi finanziamenti è regolata da una legge del 16 luglio 2012. Sul sito della Presidenza del Consiglio si possono trovare i dati aggiornati al 2011. E’ una lettura interessante quella inerente alle tabelle riportate nel sito e permette di fare scoperte curiose. Per esempio alla voce “organi di partiti e movimenti politici” possiamo constatare che hanno ricevuto come “obolo”: Europa euro 2.343.678,28; Liberazione giornale comunista euro 2.065.775,04; La Padania euro 2.682.304,80 (Roma sarà anche ladrona, ma quando c’è da mungere…); il Secolo d’Italia euro 1.795.148,57, L’Unità euro 3.709.854,40; Zukunft in Sudtirol euro 335.254,22.
Quasi quasi varrebbe la pena fondare un partito o un movimento politico al solo scopo di metter su un giornale. Ma, ovviamente, non è finita qui e tra i quotidiani finanziati direttamente dal Governo troviamo il “nostro” Avvenire (euro 3.796.672,83), il notissimo Conquiste del lavoro (euro 2.181.144,63), Il Corriere di Como (euro 838.031,89) e tanti altri. La sorpresa maggiore, tuttavia, arriva alla voce “contributi alle imprese editrici di periodici che risultino esercitate da cooperative, fondazioni...
E’ impressionante leggere la classifica della libertà di stampa nel mondo stilata annualmente da “Reporter senza frontiere”. L’Italia non ci fa propriamente una bella figura: nel 2012 ci siamo infatti piazzati al 57° posto su 179 Paesi presi in esame. Valutando le leggi dei diversi Stati, la presenza di eventuali monopoli, l’influenza dei vari governi e della politica in generale, ci troviamo dietro al Botswana (40° posto), al Burkina Faso (46° posto), Haiti (49°). Certo abbiamo la consolazione di essere davanti alla Mauritania (67°), alla Mongolia (98°), all’Albania (102°), all’Afghanistan (128°), alla Cina (che, con il suo 173° posto, si fa finalmente battere in qualcosa!) e alla Corea del Nord (178°). Ecco perché quando si vuole una panoramica completa di alcuni avvenimenti bisogna acquistare almeno sette quotidiani. E’ quello che faccio, per esempio, in occasione delle varie elezioni, per avere una vaga idea di come la pensino i diversi schieramenti. Ma spesso più che le notizie riportate valgono quelle sottaciute, passate sotto silenzio, come se non esistessero. Al punto che viene il dubbio che esistano davvero. Qualche volta si ha l’impressione che i tempi del Minculpop e delle sue mitiche “veline” non siano mai tramontati, anzi! E in questo settore anche la nostra stampa cosiddetta “cattolica” non sta indietro. D’altronde ogni giornalista (anche i “nostri”) ha un padrone. Ricordo che qualche anno fa, in occasione di una conferenza...