Obbedienza

Di : | Il : 11-07-2015

L’obbedienza è ancora una virtù? Quando ci si pone questa domanda istintivamente vengono in mente tanti tristi figuri che hanno compiuto stragi immani giustificandosi con la formula “ho obbedito agli ordini”. Già, gli ordini. Il primo criterio per stabilire se l’obbedienza è una virtù è proprio il comando, l’ordine che si richiede di eseguire. La coscienza della persona deve analizzare bene, con gli strumenti che ha a disposizione, la bontà o meno di un ordine. Ed eventualmente rispondere di no, costi quel che costi. Certo, sarebbe sempre il caso che tra i motivi di un eventuale “no” non rientri il proprio interesse o il proprio comodo. La cosiddetta “obiezione di coscienza” è un esempio lampante di un venir meno ad un obbligo fondando questo comportamento negli ideali, coltivati senza se e senza ma. Ci sono situazioni nelle quali disobbedire può diventare un preciso dovere. Un discorso poi molto particolare vale per l’istituzione ecclesiastica, dove l’obbedienza è tanto importante da diventare, per alcuni, addirittura un voto e per altri un solenne impegno preso pubblicamente nel giorno dell’Ordinazione: “Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?”, chiede il Vescovo. E la risposta, ovvia in quel momento, è: “Sì, lo prometto”.  Poi, nel corso della vita, la risposta rischia di diventare meno ovvia, di assumere sfumature strane, di cominciare a considerare un sacco di se e di ma. E si può arrivare ad assumere decisioni e comportamenti esattamente opposti a quello che si è promesso. E invece l’obbedienza offre una grande libertà. Innanzitutto da sé stessi, dai propri legami, dal proprio attaccamento a qualcosa o a qualcuno. La persona libera obbedisce per essere ancora più libera, libera dalla ricerca del proprio comodo, dal proprio orgoglio, soprattutto quando l’obbedienza comporta quella che i criteri umani considerano una retrocessione (mi ha sempre colpito tantissimo santa Teresa Couderc, fondatrice delle Suore del Cenacolo, quando viene relegata dalla nuova superiora a occuparsi dell’orto e accoglie con grande serenità questa nuova mansione che, umanamente, poteva essere solo una terribile umiliazione), libera dai propri progetti, che tante volte oscurano quelli di Dio. Certo, ci sono obbedienze facili e meno facili. Sto pensando all’obbedienza tremendamente impegnativa che fa il cardinale che accetta di diventare Papa. Fosse anche un ambizioso di prima categoria (che si annidano sempre nelle file ecclesiastiche: sono quelli che davanti ad un incarico più prestigioso fanno finta di averci pensato su e di aver accettato a malincuore e di avere tanto dolore pensando al gregge che lasciano e tanta paura trepidante pensando a quello che troveranno…ma sotto sotto gongolano. E se poi alla promozione è legato anche il titolo di monsignore…brodo di giuggiole!) davvero dovrebbe sentirsi schiacciato da tanta responsabilità. L’obbedienza, poi, permette di fidarsi di Dio. Si fa la volontà di un altro, vescovo o superiore che sia, che diventa mediatore della volontà di Dio. Persino don Abbondio, nei Promessi sposi, quando sale, per obbedienza, al castello dell’Innominato, arriva a dire: “Non mi ci sono messo di mia volontà e quindi Dio è in obbligo di aiutarmi”. Affidarsi a Dio è la cosa più importante per chi dice di aver fede. E allora ben venga l’obbedienza. Che, almeno nella Chiesa, resta una virtù!     

                                                                                                                   

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