Mendicanti: racket, sensi di colpa e… altro

Di : | Il : 15-06-2013

“Devo comperare il latte per il bambino”, “devo comperare le medicine”, “mia moglie è incinta”, ”ho i bambini ammalati perché viviamo in un camper”, “mi occorrono i soldi per tornare al mio paese”, “mi occorrono i soldi per il permesso di soggiorno”, “sono un profugo”, “dammi i soldi per un caffè”, “non mangio da tre giorni”, “non ho i soldi per il dormitorio”, “ho bisogno dei soldi per andare a Cantù dove devo iniziare a lavorare”, “lunedì inizio a lavorare, ma ho bisogno di soldi per tirare fino a lunedì”. Potrei continuare con altre forme di richiesta con le quali un prete ha quotidianamente a che fare: in qualche caso si tratta di ricatti morali e anche di vere e proprie minacce; per incontrare i “mendicanti” io non ho affatto bisogno di andare in centro! Ogni giorno almeno dieci o quindici suonano il mio campanello.

Venerdì 7 giugno, primo venerdì del mese, come di consueto porto la Comunione agli ammalati della parte “bassa” della Parrocchia: piazza del Popolo, via Lega insurrezionale, via dei Partigiani… Si era in piena polemica nei confronti di quanti chiedono in varie modalità l’elemosina in centro città, si stavano effettuando i primi controlli, che stavano portando già notevoli frutti… E infatti un primo frutto è stato quello di farmi incontrare ben sette zingari (giovani uomini e donne tutti in età lavorativa, con annessi bambini) che stavano battendo a tappeto le suddette vie fermando tutti i passanti, con gesti e lamenti tali che avrebbero fatto impallidire il profeta Geremia. E qui a me, povero uomo comune tardo di comprendonio, continua a venire un dubbio: questi sette, insieme a molti altri, li vedo da quando sono arrivato a Como, circa quattro anni fa. Non è per caso che il loro lavoro consista proprio nell’accattonaggio e che le storie più o meno commoventi che raccontano siano inventate di sana pianta, in un repertorio degno dei più abili cantastorie? Se fosse così (ed è così!) non ci sono proprio motivi per elargire a costoro la benché minima elemosina. Se abbiamo qualche euro che ci avanza diamolo a chi conosciamo bene e sappiamo che ha realmente bisogno. Lo stesso discorso vale per tutti coloro che, italiani e stranieri, vivono senza fissa dimora (una volta si chiamavano barboni, ma adesso non si può più dire perché le parole hanno un peso e quando esprimono una realtà dura è meglio cambiarle, così magari cambia per miracolo anche la realtà) e cercano l’obolo per impegnarlo immediatamente nell’acquisto di vino. La risposta tipica di queste persone davanti al rifiuto è: “allora preferisci che vado a rubare?”. Qui scattano i ricatti morali e i sensi di colpa, già insinuati nel nostro animo dall’aver impedito il nutrimento, la sana crescita e le cure mediche di decine di bambini sparsi nel mondo (oltre che averli lasciati morire di freddo per non aver comperato la bombola di gas a genitori premurosissimi, che si limitano a tenerli scalzi tutto il giorno in pieno inverno pur di impietosire qualcuno e che per questo andrebbero denunciati alle autorità preposte): “e se adesso questo va rubare per davvero? E se nella rapina restasse ammazzato qualcuno? E anche se si limitasse a strappare il girocollo d’oro ad una povera vecchietta, non è che poi la vecchietta si fa male?”. Tutti pensieri che vengono in mente, uniti ad un po’ di paura quando il soggetto, uomo o donna che sia, è già ubriaco o si mostra comunque aggressivo. E allora sganciamo i due euro, così il nostro senso cristiano e umano è a posto e il litro di Tavernello è assicurato.

Il problema, quindi, non è una presenza che può disturbare i turisti e i residenti, non è un problema di “arredo urbano” e nemmeno di repressione: è un problema di dignità umana. Perché non è dignitoso per l’uomo vivere di furti e di espedienti anche se la cultura dei nomadi è questa (probabilmente tanti operatori umanitari in servizio permanente effettivo conosceranno migliaia di zingari che lavorano in fabbrica e negli uffici o nelle imprese edili o di asfaltatura stradale. Io ne conosco solo diverse decine la cui massima espressione lavorativa è di vendere piantine reclamando comunque soldi se non si vuole acquistare niente); non è dignitoso per l’uomo chiedere l’elemosina, ubriacarsi tutti i giorni nell’ozio dei giardinetti. Forse è chiedere troppo, ma sarebbe opportuno qualche controllino in più, tanto per verificare permessi di soggiorno, reati già commessi, espulsioni che lasciano il tempo che trovano… Perché dobbiamo credere che l’illegalità sia la norma? E perché dobbiamo lasciarlo credere a chi in questa illegalità vive e prospera?  Perché invece di sprecare tanti soldi in opere inutili (leggi TAV) e in acquisti di armamenti da miliardi (miliardi!) di euro non si finanziano progetti seri e verificabili per il reinserimento nella società di chi ha dentro di sé ferite profonde? In ogni caso anche noi possiamo fare qualcosa per migliorare la Società in cui viviamo: cominciamo a dare i nostri soldi solo a chi sappiamo che ne ha veramente bisogno per un ritorno ad una vita dignitosa. Con tanti padri di famiglia che hanno perso il lavoro mi sembrerebbe anticristiano dare a chi sul lavoro ci sputa sopra. Sono argomenti grossi. Ci torneremo su.

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