Linee guida/2

Di : | Il : 12-04-2014

Forte delle parole del Papa pronunciate proprio ieri sul tema degli abusi sessuali dei preti, provo ad esprimere qualche considerazione sul testo inviato dai vescovi italiani alla Congregazione per la Dottrina della Fede qualche giorno fa.

“Il triste e grave fenomeno degli abusi sessuali nei confronti di minori da parte di chierici sollecita un rinnovato impegno da parte della comunità ecclesiale, chiamata ad affrontare la questione con spirito di giustizia, in conformità alle presenti Linee guida. In quest’ottica assume importanza fondamentale anzitutto la protezione dei minori, la premura verso le vittime degli abusi e la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi”. Tutta la “comunità ecclesiale” è dunque chiamata a farsi carico del problema. Nessuno può chiamarsi fuori, magari con la scusa che “è capitato ad altri”, perché i preti (e i vescovi) sono di tutti e sono di tutti anche le persone abusate: fanno parte della nostra famiglia perché tutti insieme siamo la famiglia di Dio. E non ci sono “figli di un Dio minore” accanto a figli di un Dio maggiore. Proteggere i minori, avere premura verso le vittime degli abusi e formare adeguatamente i futuri sacerdoti non sono, dunque, compiti assegnati a pochi, ma diventano eventi comunitari. Con buona pace di chi preferirebbe evitare di parlare pubblicamente di “certi affari” scomodi e scandalosi.

“Il vescovo che riceve la denuncia di un abuso deve essere sempre disponibile ad ascoltare la vittima e i suoi familiari, assicurando ogni cura nel trattare il caso secondo giustizia e impegnandosi ad offrire sostegno spirituale e psicologico, nel rispetto della libertà della vittima di intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà più opportune… Quando il vescovo abbia notizia di possibili abusi in materia sessuale nei confronti di minori ad opera di chierici sottoposti alla sua giurisdizione, deve innanzitutto procedere ad espletare gli accertamenti di carattere strettamente preliminare… relativi alla verifica della verosimiglianza della notitia criminis, affidando il relativo incarico, qualora fosse ritenuto giusto ed opportuno, a persona idonea di provata prudenza ed esperienza e curando di tutelare al meglio la riservatezza di tutte le persone coinvolte… Durante tale fase spetta al prudente discernimento del vescovo adottare eventuali provvedimenti nei confronti del chierico affinché si eviti il rischio che i fatti delittuosi ipotizzati si ripetano, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria”. Mi verrebbe da dire che non è facile la posizione del vescovo: deve riuscire a mantenere equilibrio e serenità di giudizio in una situazione che vede coinvolte persone che lui ama come figli: chierici e ragazzi /e, insieme ai loro familiari, che sono, tutti, affidati alle sue paterne cure, in modo particolare i più deboli e indifesi. E poi: quali reali strumenti sono in possesso del vescovo per stabilire la verità dei fatti se non l’ascoltare le parti e credere alle loro dichiarazioni? Certo, già in questa fase il vescovo potrebbe commettere, ovviamente senza malizia, una serie di superficialità, come, per esempio, non assumere informazioni adeguate o sottovalutare la portata della denuncia. A questo proposito sono significative le parole di mons. Stephen Rossetti, che dal 1993 al 2009 ha diretto i programmi di recupero per sacerdoti negli Stati Uniti, pronunciate durante il “Simposio internazionale sugli abusi sessuali su minori” organizzato nel 2012 dalla Pontificia Università Gregoriana. Dice mons. Rossetti, rivolgendosi ad una platea di vescovi e cardinali: “Ascoltare le vittime deve costituire la nostra principale priorità. Poiché i nostri stessi sacerdoti sono accusati di crimini, i vescovi e i loro vicari hanno naturalmente concentrato la propria attenzione sugli accusati. La struttura organizzativa della Chiesa presenta una distorsione in questa direzione e, per questa ragione, altrettanto distorta è stata la nostra gestione delle accuse. Nelle parole di un vescovo americano, “il nostro errore è stato dimenticare che anche le vittime fanno parte del nostro gregge”… Quasi sempre il trasgressore minimizza, razionalizza, proietta l’accusa e nega la verità dei propri crimini… Innanzitutto i trasgressori mentono sul proprio comportamento. In passato i vescovi e i propri vicari chiamavano i sacerdoti accusati nei propri uffici. A quel punto il vescovo chiedeva al sacerdote se le accuse fossero vere. Il più delle volte il sacerdote mentiva. Tristemente, il vescovo cadeva nell’inganno. Il trasgressore, come ben sa chi ha a che fare anche con alcolisti e tossicodipendenti, cerca di convincere le autorità della Chiesa e anche sé stesso che si sia trattato di un evento isolato o che l’evento si sia verificato solo perché “ho bevuto troppo” o comunque che non accadrà più; potrebbe sostenere che si è trattato di qualcosa del passato, che, essendosi confessato, ormai tutto è dietro le spalle. Oppure potrebbe accusare la vittima, sostenendo che il bambino “gli si avvicinava, cercando di sedurlo”. Si tratta di tentativi compiuti dai perpetratori per sentirsi dire dalle autorità della Chiesa che possono andare, che tutto è passato, ma la realtà è ben diversa”. Parole che fanno riflettere sulla delicatezza del compito del vescovo in questa fase: l’accertamento serio dei fatti è di fondamentale importanza, per non rischiare di lasciare un giro un pericolo pubblico, libero di fare quello che vuole. A questo punto verrebbe anche spontanea qualche considerazione su quei vescovi (e sono tanti!) che, dopo aver accertato la colpevolezza dei preti si sono limitati a spostamenti di sede, permettendo loro di continuare a perpetrare crimini. Ogni tanto penso a come possano riuscire a dormire, questi vescovi, pensando alle bambine e ai bambini abusati dai loro preti. Ma lasciamo perdere. Credo che abbiano sufficientemente risposto i papi Benedetto XVI e Francesco. Mi piace, invece, concludere questa seconda parte con le due raccomandazioni nelle quali mons. Rossetti sintetizza il suo intervento al suddetto Simposio:

“Raccomandazione 1: prima di tutto le vittime. Tutte le indagini devono partire dall’ascolto della vittima. E’ la vittima, e non il trasgressore, che deve essere posta al centro dell’attenzione della Chiesa.

Raccomandazione 2: le autorità della Chiesa non devono gestire i casi da sole, ma devono avvalersi di un gruppo di esperti in materia di abuso sessuale, in particolare con competenze in materia di indagine penale, applicazione della legge, diritto canonico e salute mentale, che indaghino e forniscano consulenza al vescovo.”

Iniziamo la Settimana santa: ce n’è abbastanza per accompagnare Gesù nella Passione e nel supremo sacrificio della Croce, riflettendo sui tanti piccoli crocifissi con Lui e sui tanti (forse poco informati) che purtroppo ancora urlano: “crocifiggili!”.

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