Tempo di campi estivi. E quando ci si sta preparando alla partenza ci si sente dire tante volte : “buona vacanza!”. Ormai non mi irrito neanche più! No, non è vero. L’augurio vacanziero mi suscita ancora un moto di ribellione, pensando a ciò che ha in mente la persona, che l’ha formulato, riguardo al ministero sacerdotale e alla Chiesa stessa. Posto che sarebbe un po’ avvilente essere diventato prete per portare i ragazzi in vacanza, non disconosco il ruolo sociale che una Parrocchia può avere organizzando attività per i suoi “utenti”, bambini o adulti che siano. E tuttavia continuo a credere che un prete, una Parrocchia, la Chiesa intera esistano per un altro scopo. Il campo estivo, per esempio, si contraddistingue per una proposta di formazione ad alto livello, con riflessioni, preghiera, Messa. Anche giochi, ci mancherebbe, ma inseriti in un contesto che non li fa essere un semplice passatempo. Otto giorni senza cellulari e giochini elettronici vari, con l’esercizio anche fisico di lavare i piatti e pulire la casa (gabinetti compresi) possono diventare l’occasione per incontrare seriamente Gesù, con il rischio che Lui provochi ad una vita più intensa, ad un salto di qualità, ad un impegno più significativo verso gli altri, a partire dai propri genitori. E, perché no, anche un gusto per la preghiera che può far bene persino durante l’anno scolastico. Insomma, come dice il Papa, la Chiesa non può ridursi ad una grande ONLUS, benemerita finché...
Gita del Grest: fonte Gajum, oasi naturalistica, rifugio “Terz’alpe”. Pioggia per tutta la mattina, così, concentrati sull’acqua che si fa beffe di k-way e ombrellini, non si pensa più di tanto alla consistente salita che si sta affrontando e si diradano assai le domande con lo stesso contenuto: “quanto manca?”. Verso mezzogiorno spiove e si arriva al rifugio bagnati, ma ringalluzziti da questa tregua (che durerà per il resto della giornata) concessa dalle nuvole, che, basse, continuano a girare attorno al centinaio di temerari che si sono avventurati in questi monti. Si può tirare il fiato e recitare la preghiera prima del pranzo a base di lauti panini preparati dalle solerti mamme. E mentre ragazzi e animatori iniziano a mangiare, il prete viene affiancato da un signore di una certa età, attrezzato di tutto punto per una gita in montagna, che poco prima era seduto sul muricciolo e si stava sistemando gli scarponi. Senza quasi fermarsi, il signore sussurra all’orecchio del prete: “finché si vedrà un prete con un gruppo di ragazzi si potrà continuare a sperare”. E via, senza aspettare una risposta. Incontri strani, in montagna. Incontri che fanno riflettere.
Quella frase, detta da una persona sconosciuta che ha voluto rimanere tale, mi ha provocato a pensare alla speranza, alla figura del prete, alle attese del Popolo di Dio, all’immenso lavoro educativo svolto dalla Chiesa. E’ vero, ci sono anche le mele marce, che purtroppo fanno tanto rumore, ma...
Recentemente ho letto un libro interessante, un libro che aiuta a pensare, anche se non se ne condivide le idee. Ed è comunque una grazia di Dio trovare qualcuno o qualcosa che aiuti a pensare. Il libro è “Questo papa piace troppo” e gli autori sono Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro (recentemente scomparso) e Giuliano Ferrara. I primi due sono stati “licenziati” qualche mese fa da Radio Maria proprio per aver osato proferire parole di critica al Pontefice dai microfoni dell’emittente ultracattolica. Il pagare di persona per le proprie opinioni è già, ai miei occhi, una nota di merito.
Comunque, nel libro, le osservazioni sono tutte molto circostanziate, anche se, sostanzialmente, ruotano attorno ad un concetto basilare: Papa Francesco sta distruggendo la sacralità della figura papale e sta scendendo a troppi compromessi con il mondo tanto che “paramento dopo paramento, concetto dopo concetto, preghiera dopo preghiera, prima per sola mano del mondo e poi con complicità cattolica, la persona del papa sarebbe stata spogliata di tutto, fino a lasciarle la sola logora veste da cappellano di ospedale da campo. Ma, così denudato, il vicario di Cristo, che anche a volerlo non può essere un altro san Francesco, diventa flebile persino nella voce. Per quanto meritori siano, i richiami che lancia contro lo spirito del mondo sono destinati a rimanere inoperanti: il discorso cristiano, privato degli ornamenti che gli sono propri, anche quando si fa invettiva, finisce...
“Non lasciamoci rubare la speranza”: con queste parole il Papa conclude il n.86 dell’Evangelii gaudium. Dobbiamo ammetterlo: qualche volta siamo tentati anche noi, in teoria portatori della gioia del Vangelo, dal pessimismo cinico e disincantato di chi vede sempre e solo il male (di solito negli altri, con noi stessi siamo piuttosto indulgenti). E qualche volta ci sembra di avere un compito che va ben oltre le forze umane, dovendo cambiare un mondo che di cambiare non ha per nulla voglia. E così ci scoraggiamo, tiriamo i remi in barca e lasciamo che siano gli altri, gli ingenui o gli illusi, a continuare a combattere per un mondo più giusto e più bello, più somigliante a come Dio l’ha pensato e continua a pensarlo. Ci dice il Papa al n. 84 dell’Evangelii gaudium: “I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. La nostra fede è sfidata a vedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata e a scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania”. Non si tratta, dunque, di chiudere gli occhi per non vedere il male: si tratta di aprirli a tal punto da scoprire il bene, che è certamente meno appariscente, ma permea ogni ambito...
19-27 giugno 2014
Nel 50° anniversario della adorazione quotidiana cittadina in Como, parrocchie e associazioni cattoliche della città organizzano una settimana di adorazione nella chiesa di Santa Cecilia.
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Ogni tanto mi chiedo che cosa venga percepito dalle persone quando sentono pronunciare la parola “oratorio”. Posto che, almeno nelle nostre zone, tutti coloro che non hanno una significativa cultura musicale associno la parola a quell’ambiente che, in una parrocchia, viene solitamente occupato da bambini e ragazzi per la catechesi e le attività ludico-sportive, mi verrebbe da chiedere quali altri contenuti si danno a questa parola: tanti anni fa il Vescovo Alessandro Maggiolini, in un Piano pastorale proprio sull’Oratorio, diceva che esso è soprattutto una “mentalità”. Quindi non anzitutto un luogo, bensì un modo di pensare. Che cosa significa avere questa mentalità? Credo che voglia dire, prima di tutto, avere una grande passione per Gesù. Solo se Gesù è davvero il centro della nostra vita possiamo dircene innamorati. E se ne siamo innamorati, allora diventa nostro precipuo interesse farlo conoscere, perché altri possano vivere la nostra stessa gioia. Chi è innamorato di Gesù non teme di proporlo a tutti, anche a quelli che apparentemente non sono interessati e non vogliono ascoltare, e si sforza di presentare una realtà ecclesiale che non sia sempre e comunque una “dogana”, ma che sappia suscitare gioia e partecipazione vera. Purtroppo in tante parrocchie si paga ancora lo scotto della mentalità che la Chiesa è per pochi eletti, per i più bravi (salvo poi avere cocenti delusioni quando i più bravi si dimostrano peggiori degli altri!), per quelli...