Quando si gestiscono soldi di tutti, cioè provenienti da tassazione o da offerte volontarie o da beni ricevuti in eredità per opere di solidarietà, credo che sia doveroso rendicontare. La trasparenza è fondamentale per creare e mantenere un rapporto di fiducia e per dare la possibilità a tutti di verificare come i soldi vengono spesi. E anche se non sussistono obblighi di legge esistono però obblighi morali. Posto, ovviamente, che non si abbia nulla da nascondere. D’altronde pretendiamo, giustamente, che i politici diano conto delle loro spese e delle loro entrate e ci scandalizziamo, giustamente, quando si scoprono le magagne, ma gli enti ecclesiastici possono esimersi dalla responsabilità, soprattutto in questo momento storico, di pubblicare i proprii bilanci? Non è il caso di dare, anche in questo, il buon esempio? Non fa parte, anche questo, della funzione profetica della Chiesa? Chi ha dato la propria offerta, chi ha lasciato in eredità soldi o case, chi ha donato un bene qualsiasi l’ha fatto con la convinzione che esso venga usato per quello che concerne la vita della comunità, che, per certi aspetti, assomiglia molto ad una famiglia. Questa premessa per dare un annuncio che ritengo molto importante. Dopo averne discusso in Consiglio pastorale, che si è pronunciato all’unanimità, si è deciso di pubblicare il bilancio della nostra Parrocchia (vedi pagina del Consiglio per gli affari economici). Per i motivi detti prima e per ricevere anche suggerimenti,...
Si diceva degli ecclesiastici e del rapporto che hanno con i soldi. Posto che davvero tanti preti, che conosco personalmente, vivono in una condizione che si potrebbe definire di povertà, nel senso che hanno fatto della sobrietà nello stile di vita e dell’aiuto ai bisognosi due cardini della propria esistenza, senza accumulare nulla e fidandosi totalmente della Provvidenza, è inutile negare che ce ne sono altri che la sobrietà non sanno neanche dove stia di casa. Li ha spesso stigmatizzati anche il Papa: auto di lusso, case proporzionate al lusso delle auto, vestiti pure, orologi non parliamone! Tutti soldi personali, mi si dirà, di cui ognuno può disporre come crede. Mi viene in mente quel prete che, negli anni trenta del secolo scorso, aveva la macchina e davanti alle osservazioni di diverse persone, affermava con tranquillità: “ma io sono ricco di mio”. Apparteneva, in effetti, ad una famiglia molto ricca! Si può parlare di “opportunità” di certe scelte? Si può ancora parlare della necessità di non dare scandalo, soprattutto oggi, quando tante famiglie normali sono precipitate nell’indigenza a causa della perdita del lavoro? Si può ancora dire che la vita di un prete, di un vescovo, di un religioso dovrebbero richiamare il più possibile la vita di Gesù? Spesso il rapporto con i soldi da parte del clero andrebbe rivisto. In modo particolare quando questi soldi non sono personali, ma appartengono alla Comunità, sono frutto di donazioni, di offerte,...
Anche quest’anno la nostra Parrocchia ripropone la bella tradizione della recita comunitaria del S. Rosario tutte le sere del mese di maggio, in chiesa, nei cortili dei condomini e alla Grotta di via S. Monti, secondo il programma qui riportato.
In caso di maltempo la recita del S. Rosario si terrà comunque in chiesa.
I fatti di questi giorni (mazzette, corruzione e quant’altro) mi fanno pensare a tutto quello che Gesù diceva riguardo al denaro e ai suoi possessori, fino al clamoroso “o Dio o mammona”. Aut-aut: non possono stare insieme due divinità. Bisogna scegliere. Non si può tenere il piede in due scarpe. E questo vale per tutti. Perché tutti hanno la tentazione dell’idolatria, che assume varie forme e spesso proprio quella di un foglietto di carta filigranata. E, subito collegata a questa, la tentazione del possesso, dell’ostentazione di ciò che ci si può permettere, nell’illusione che gli altri ci stimino per ciò che possediamo, illudendoci di non sapere che, se va bene, ci invidiano e, se va male, ci odiano. Ovviamente tra un apparente sorriso e un’adulazione di circostanza. La tentazione del denaro è autenticamente democratica: c’è per il povero (ne vorrebbe un po’ di più) e per il ricco (ne vorrebbe molto di più). E’ una tentazione alienante, perché porta a non essere mai contenti di quello che si ha, volendo avere sempre di più. Porta a costruire rapporti sociali sbagliati, a fingere sentimenti che non si hanno nei confronti di chi potrebbe contribuire a un arricchimento, a essere bugiardi. Infelici, lontani dalla verità e soli: non è una bella prospettiva. Eppure sembra così avvincente per molti! Ma mi fa pensare in modo particolare vedere che tanti cristiani si fanno prendere da questo demone. E non sto facendo il solito discorso pauperistico...
“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù”. E’ l’inizio dell’Evangelii gaudium. Ed è un inizio che vale la pena considerare in questo tempo di Pasqua. La gioia dovrebbe essere una delle caratteristiche del discepolo di Gesù. E invece sembra essere merce così rara. Capita spesso di incontrare ferventi cattolici, che frequentano assiduamente la Messa, che partecipano attivamente alla vita delle parrocchie, dei movimenti, delle associazioni, che si formano attraverso letture e incontri e che non sono capaci di sorridere e, men che mai, di ridere. Quasi che questi movimenti dei muscoli facciali siano uno sforzo immane, fuori dalla portata di chi è intelligente e conosce il viver del mondo e della Chiesa. Certo, le notizie che ci vengono date sul mondo e sulla Chiesa non portano all’ottimismo. Ma siamo sicuri che queste notizie sono le uniche? Basterebbe guardarsi attorno con un po’ di attenzione per scoprire schiere di persone dedite al bene, che costruiscono una società e una Chiesa più belle, più solidali, più in linea con il progetto d’amore di Dio. Certo, queste schiere di persone non fanno rumore, non vanno in televisione, non si fanno pubblicità. Eppure esistono, vivono accanto a noi. Queste persone siamo anche noi! Constatare la diffusione del bene dovrebbe aiutarci ad essere un po’ meno profeti di sventura e un po’ più uomini e donne di speranza. Dovrebbe farci guardare la storia del mondo come il luogo...
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