Sinodo/2

Di : | Il : 01-11-2014

Torno sull’argomento dopo aver letto diversi interventi su organi di stampa “laici” e “cattolici”. Come accennavo la scorsa settimana, mi sembra che in gioco ci sia l’indissolubilità del matrimonio. Mi rifaccio ad alcune cose scritte negli anni da papi e vescovi. Il “Direttorio di pastorale familiare”, della CEI, dice ai numeri 213 e 214: “Sono situazioni (quelle dei divorziati risposati) che pongono un problema grave e indilazionabile alla pastorale della Chiesa, la quale deve professare la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità come condizione e misura di un autentico amore materno anche verso i divorziati risposati. Si riconosca e si riaffermi innanzitutto che “la loro condizione di vita è in contrasto con il Vangelo, che proclama il matrimonio unico e indissolubile: la loro nuova unione non può rompere il vincolo coniugale precedente e si pone in aperta contraddizione con il comandamento di Cristo.” Raccomandando poi un attento discernimento delle diverse situazioni e una vicinanza che neghi sempre l’esclusione o il giudizio temerario, iniziando un dialogo “che potrebbe illuminarli circa la posizione della Chiesa verso di loro, senza ingannarli sulla verità della loro situazione, ma insieme testimoniando una sincera carità fraterna”. Dunque l’indissolubilità del matrimonio è voluta proprio da Gesù ed essa non può essere affermata in teoria e negata nella pratica. Agli assertori di una nuova “disciplina” (che a mio parere servirebbe solo ad aggirare l’ostacolo dell’indissolubilità rendendola di fatto inesistente) dico semplicemente che chi tradisce il coniuge commette adulterio e può ricevere l’assoluzione solo quando è veramente pentito e si impegna a troncare un’eventuale relazione. Che senso ha dare l’assoluzione a chi, permanendo l’unico vincolo coniugale, vive con un’altra persona, avendo con lei rapporti sessuali e dimostrando, quindi, l’assoluta mancanza di pentimento? E quale cammino penitenziale può cancellare il vincolo, rendendo lecita la nuova unione? E non sarebbe comunque triste ridurre questa nuova unione ad uno stare insieme perché non si può più tornare indietro? Tra l’altro, da questo punto di vista le regole ci sono già, spesso ignorate anche da qualche prete: “Fedele al suo Signore la Chiesa comunque non può ammettere alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi stessi a non poter esservi ammessi dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita sono in oggettiva contraddizione con la fede annunciata e celebrata nei sacramenti: sono in aperta contraddizione con l’indissolubile patto d’amore tra Gesù Cristo e la sua Chiesa, significato e attuato dall’Eucaristia; sono in netto contrasto con l’esigenza di conversione e di penitenza presente nel sacramento della Riconciliazione…Solo quando i divorziati risposati cessano di essere tali possono essere riammessi ai sacramenti. E’ necessario, perciò, che essi, pentitisi di aver violato il segno dell’alleanza e della fedeltà a Cristo, siano sinceramente disposti a una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del Matrimonio o con la separazione fisica e, se possibile, con il ritorno all’originaria convivenza matrimoniale o con l’impegno per un tipo di convivenza che contempli l’astensione dagli atti propri dei coniugi. Infatti, qualora la loro situazione non presenti una concreta reversibilità per l’età avanzata o la malattia di uno o di ambedue, la presenza di figli bisognosi di aiuto e di educazione o altri motivi analoghi, la Chiesa li ammette all’assoluzione sacramentale e alla Comunione eucaristica se, sinceramente pentiti, si impegnano ad interrompere la loro reciproca vita sessuale e a trasformare il loro vincolo in amicizia, stima e aiuto vicendevoli. In questo caso possono ricevere l’assoluzione sacramentale ed accostarsi alla Comunione eucaristica in una chiesa dove non siano conosciuti, per evitare lo scandalo” (Direttorio di pastorale familiare nn. 219-220). Occorre altro? Non è abbastanza chiaro? Quali “cammini penitenziali” renderebbero più efficaci (o aggirabili) queste regole?

Adeguarsi ai tempi è proprio sempre un valore? Essere accoglienti e caritatevoli esige necessariamente abdicare alla verità? Chi resiste tenacemente e con fatica, fedele al patto coniugale, nella propria posizione di coniuge solo, che “non si è rifatto una vita”, è un povero stupido con qualche problema psicologico? E, più in generale, come trasmetteremo alle nuove generazioni il valore della fedeltà agli ideali, costi quel che costi? L’ospedale da campo è l’immagine unica ed assoluta della Chiesa? Gesù non richiede ogni tanto risposte nette e precise, “aut aut” e non gli “et et”, che richiamano il volere la moglie ubriaca, la botte piena e l’uva sulla vite? I teologi sono purtroppo specialisti in cerchiobottismo, ma siamo sicuri che di questo ha bisogno il Popolo di Dio? E’ possibile esprimere le idee che ho espresso senza essere accusati di conservatorismo reazionario? Siamo davanti ad un bivio importante per la Chiesa. Preghiamo per il Papa.

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