Clero criminale

Di : | Il : 08-03-2014

L’estate scorsa mi sono dilettato (si fa per dire!) con una lettura molto interessante: “Clero criminale. L’onore della Chiesa e i delitti degli ecclesiastici nell’Italia della Controriforma” è un saggio rigoroso, che vede come autori Michele Mancino e Giovanni Romeo, docenti di Storia moderna all’Università Federico II di Napoli. I due studiosi hanno analizzato gli “archivi criminali” di numerose Diocesi italiane (Venezia, Napoli, Bitonto, Brescia, Firenze, Genova, Ischia, Milano, Pistoia, Pisa, Pozzuoli, Torino, Trento, Udine, Vallo della Lucania) riguardanti il periodo successivo al Concilio di Trento fino alla metà del ‘600. Inoltre hanno consultato gli archivi di Stato di Firenze, Napoli e Roma, l’Archivio Segreto Vaticano e l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ce n’è abbastanza, credo, per ritenere di essere di fronte ad un’opera storica di un certo livello, edita da Laterza.

Lo spaccato che emerge è leggermente sconsolante. Nel XVI e XVII secolo i preti ne combinavano di tutti i colori, in ogni parte d’Italia. Commerci illeciti, truffe, stupri, concubinato, violenze sessuali su bambini/e, omicidi, eresie. Ma la cosa più strana è che quasi tutti riuscivano a farla franca o a ricevere pene irrisorie, tranne che per il reato di eresia. Sulla fedeltà dottrinale ai dogmi le autorità ecclesiastiche non transigevano, sul resto chiudevano un occhio e, spesso, tutti e due. Ci si chiede come mai, in un’epoca nota per l’intransigenza morale come la Controriforma, dove i laici subivano processi e condanne per un nonnulla e l’Inquisizione lavorava a pieno regime, gli ecclesiastici venissero trattati con un riguardo a dir poco eccessivo. I motivi sono molteplici. Innanzitutto la difesa del privilegio di essere giudicati da un tribunale ecclesiastico e non da un tribunale civile. Le pochissime volte, infatti, in cui un tribunale civile è riuscito ad emettere una sentenza  riguardo ad un prete (solo per reati gravissimi come l’omicidio o la violenza sessuale a cui è seguita la morte della bambina violentata) le pene sono state pesantissime, in due casi fino alla morte. Un secondo motivo è il rimpallo di giurisdizione tra i tribunali diocesani e quello di Roma: sembra infatti che l’interesse più grande sia quello di affermare l’autonomia di ciascuno, permettendo al reo di fare ricorsi su ricorsi ad una sede piuttosto che all’altra, fino ad ottenere una sentenza favorevole. Un terzo motivo è l’onore della Chiesa, cioè il timore di creare “scandalo” tra i fedeli mettendo in piazza le malefatte dei preti (questa l’ho già sentita!). Si cercano provvedimenti “indolori” come il trasferimento del soggetto incriminato ad altro incarico in altra zona (anche questa l’ho già sentita! Certe abitudini sono dure a morire) oppure non si dà seguito alla denuncia presentata (infatti solo una minima parte delle denunce ha come conseguenza l’inizio di una pur sommaria indagine). La cosa che colpisce di più, però, è il divario di trattamento tra i preti colpevoli di cedimenti dottrinali e quelli rei di crimini sessuali anche efferati. Mentre con i primi si arriva spesso anche alla scomunica e al carcere duro con i secondi si tende a quella che oggi chiameremmo, con un termine tirato per la giacchetta un po’ da tutti, “misericordia”. Quasi che la Chiesa, sapendo di chiedere molto ad un prete facendolo rinunciare ad avere una propria famiglia, accetti un sorta di tacito accordo che prevede la possibilità di sfogare i propri istinti sessuali un po’ con tutti (uomini e donne, bambini e bambine) purché lo si faccia di nascosto, senza troppa pubblicità. Se poi si venisse scoperti si cercherà di acquietare lo scandalo con congrui risarcimenti o addirittura accusando le vittime e punendo loro per aver insidiato il prete (a Napoli, in un processo per sodomia con alcuni bambini un chierico viene assolto perché i bambini, sottoposti a tortura (!!!), hanno affermato di averlo provocato!).

Siamo di fronte ad una Chiesa (o meglio, ad una gerarchia ecclesiastica) un po’ strabica. Sembra che l’unica cosa importante sia l’adesione piena ad una ortodossia dogmatica, mentre l’aspetto morale può essere tralasciato, salvando, però, farisaicamente, l’aspetto esteriore e l’ “onorabilità” della Chiesa, che deve salvaguardare i propri privilegi ed evitare che le proprie magagne vengano alla luce.

Quali conclusioni trarre da tutto questo? Innanzitutto che sono passati secoli, ma qualche pessima abitudine è rimasta. E poi che sarebbe il caso di leggere il libro. Non è propriamente un testo divulgativo, ma può far meditare molto. Soprattutto preti e vescovi.  

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